Visita all’area archeologica di Velia
Identificata nella metà del XVII secolo da Lucas Holstenius, Elea-Velia fu, insieme alla vicina Paestum, oggetto d’interesse da parte di numerosi studiosi e viaggiatori, come il danese Mùnter, il duca di Luynes, il Lenormant e lo Schleuning, che dal Settecento in poi si spingevano oltre gli itinerari canonici del Gran Tour, intraprendendo viaggi avventurosi alla ricerca di quei luoghi mitici celebrati da Omero nell’Odissea e da Virgilio nell’Eneide.
Il Mediterraneo e, in particolare, le coste dell’Italia Meridionale, con i loro rari e meravigliosi paesaggi, fanno da scenario agli avventurosi viaggi di Ulisse e di Enea, alla loro fantastica e sempre attuale storia, quella dell’uomo e del suo viaggio verso l’ignoto. Consacrate per sempre al mito, queste terre, abitate da una miriade di divinità e creature fantastiche, come Ninfe, Satiri, Sirene e terribili mostri che popolavano boschi, fiumi e mari, evocano ancora oggi, nelle tradizioni popolari, nei riti e nei nomi dei luoghi, i fasti di quell’antico passato. È, infatti, in prossimità di Velia che il nocchiere di Enea, Palinuro, perde la vita cadendo in mare, al largo dell’omonimo promontorio e, più a nord, intorno all’isolotto antistante a Punta Licosa, aleggia ancora lo spirito di Leucosia, la sirena incantatrice, suicidasi in seguito al fallito tentativo di seduzione di Ulisse, mentre a Paestum, alla foce del fiume Sele, Giasone e i suoi Argonauti di ritorno dal loro viaggio, fondano un santuario dedicato alla Dea Era.
La fondazione di Elea
Secondo Erodoto è intorno al 540 a.C. che gli Ioni, esuli provenienti da Focea, città dell’Asia Minore assediata e conquistata dai Persiani nel 545 a.C., alla ricerca della libertà politica in una nuova patria, fondarono una “città in terra enotria”. La città prese il nome di Hyele da una fonte, poi di Elea e infine di Velia in epoca romana. Prima che diversi eventi alluvionali modificassero consistentemente il profilo del territorio eleate, contribuendo all’arretramento della linea di costa, il promontorio ove sorgeva l’Acropoli della città si protendeva nel mare tra due ampi golfi: a sud il golfo formato dalla Fiumarella; a nord il golfo formato dal Palistro che aveva allora corso indipendente dal fiume Alento. Pertanto l’attuale piana dell’Alento era un’ampia baia ove presumibilmente sorgevano degli isolotti oggi scomparsi, descritti da diversi fonti documentarie. I primi scavi vengono avviati da Amedeo Maiuri solo all’inizio del Novecento, scavi che hanno portato alla luce appena 1/5 della superficie urbana.
Velia fu uno dei più importanti centri della Magna Graecia, famosa nell’antichità per la sua scuola medico-filosofica e patria di uomini illustri quali Parmedide e Zenone che qui istituiranno le premesse per la moderna filosofia.
L’urbanistica
Le mura della città, intervallate da torri quadrate, risalgono al VI secolo e si articolano per circa nove chilometri, assecondando la morfologia del luogo ed utilizzando precisi punti chiave del territorio in maniera da potenziarne il carattere difensivo, come nel caso del Vallone di Porta Rosa e della fortificazione di Castelluccio. Prima che le grandi modificazione urbane di età classica trasformassero la collina dell’Acropoli in un luogo destinato esclusivamente al culto, questa era occupata per tutta la sua estensione dall’abitato arcaico, il primitivo nucleo della città, del quale se ne conserva una parte consistente sulle pendici orientali dell’Acropoli, il cosiddetto “Villaggio in Poligonale”, un insediamento caratterizzato da stretti vicoli e da una larga strada sulla quale prospettavano case e botteghe, sistemate su un articolato sistema di terrazzamenti. Al suddetto abitato arcaico si sovrappone intorno al 480 a.C., un imponente muro di terrazzamento, in occasione della sistemazione dell’Acropoli, che comprese la realizzazione di un grande terrazzo e la costruzione, forse mai ultimata, del tempio cosiddetto di Athena, il cui ampio stereobate si fonda sulle strutture di un santuario del VI secolo, delle quali è ancora visibile un bel tratto di muro in “poligonale lesbio”.
Con la realizzazione delle grandi opere urbane di età ellenistica (III secolo a.C.) che coinvolsero l’intera città, la monumentalità dell’Acropoli viene esaltata scenograficamente attraverso la costruzione del teatro e delle stoai porticate. Inoltre lungo tutto il crinale su cui si articolavano le mura urbane, dall’Acropoli fino al fortilizio di Castelluccio, si succedevano su ampie terrazze santuari e luoghi sacri di riunione con altari all’aperto ove si sacrificava agli dei. Qui erano venerate divinità come Athena, Poseidon Asfaleios, Era, Zeus, Dioniso e Persefone.
Il crinale dell’Acropoli divideva i due quartieri della città, quello meridionale e quello settentrionale, i quali erano collegati da un’importante arteria, la strada lastricata che da Porta Marina Sud, attraversando il quartiere portuale si immetteva su via di Porta Rosa e oltrepassando la Porta Arcaica e la Porta Rosa, conduceva al Quartiere Settentrionale fino a Porta Marina Nord, in prossimità della quale vi doveva essere il porto fluviale alle antiche foci del Palistro. Il Quartiere Meridionale, presenta consistenti stratificazioni dovute ai continui apporti detritici causati da violenti alluvioni che più volte hanno distrutto questa parte di città dal VI secolo a.C fino all’età romana. Tale quartiere presenta tre insulae con abitazioni e botteghe, di cui una interamente occupata da un grandioso complesso architettonico del I secolo a.C con criptoportico e un giardino pensile, forse destinato al culto dell’imperatore. Il margine nord del quartiere è dominato da un grazioso edificio termale del II secolo a.C. con ambienti mosaicati, davanti al quale si trova un bothros noto come “Pozzo Sacro” (forse dedicato ad Eros). Lungo la via di Porta Rosa, a sinistra e a destra di questa, disposti su terrazzamenti, si estendono due quartieri a maglia ortogonale, disegnati secondo le teorie urbanistiche di Ippodamo da Mileto, dove affiorano i resti di importanti edifici pubblici e residenziali, in particolare l’Asclepeion, forse sede della scuola medico-filosofica e un raro esempio di edificio termale di età ellenistica collocato a valle della Fonte Sacra, la famosa sorgente consacrata alla ninfa Yele. Ma il monumento più famoso della città e di tutta la Magna Graecia è l’imponente Porta Rosa, un esempio di rara bellezza e armonia che documenta l’impiego della tecnica dell’arco da parte dei Greci.
La storia
Dopo la fondazione, la città di Elea visse un periodo di grande prosperità, come testimoniano le imponenti opere realizzate tra il V e il III secolo a.C. La città, dotata di efficienti porti, che Virgilio cita nell’Eneide, era inserita in importanti rotte di traffici marittimi tra la Grecia e le colonie lungo le coste del Mediterraneo ed ebbe rapporti con Cuma e Neapolis , ma anche con Massalia (Marsiglia) che come Alalia in Corsica e Ampurias in Spagna, fu fondata dagli stessi Focei.
La decadenza economica dei centri del basso Tirreno inizia dal II secolo a.C. con l’accentrarsi dei traffici nel golfo di Napoli e a nord di Ostia: nonostante ciò Velia mantiene un certo volume di traffico che andrà però man mano regredendo, essendosi innescato un processo di graduale interramento dei celebri porti. Nel suo periodo di massimo splendore la città, che aveva ospitato Senofane di Colofone, vide nascere un cenacolo filosofico-letterario intorno al quale meditarono illustri filosofi che ebbero in Parmenide e Zenone, nati in quella terra, i loro maggiori esponenti. Connessa con la scuola filosofica eleatica si affermò una rinomata scuola medica attiva per molti secoli, i cui principi si trasferirono, nel Medioevo, alla Scuola Medica Salernitana. Alcune iscrizioni e ritratti marmorei di medici eleati, attestano la presenza di un ghenos di medici (Ouliadai) analogo a quelli di Cos (Asklepiadai). Con molta probabilità doveva esistere un Asklepieon collegato con i diversi impianti termali della città, grazie ai quali la fama di Velia continuò ancora in età romana. Verso la metà del I secolo d.C., infatti, le fredde acque termali di Velia in inverno e quelle di Chiusi e Gubbio in estate sostituirono le calde acque di Baia e l’antica Elea divenne un rinomato luogo di cura e villeggiatura ove ritemprare corpo e spirito. La città di Velia, nata da un desiderio di libertà, conservò sempre questo ideale e riuscì, più con la diplomazia che con le guerre, a non essere mai occupata dai Poseidonati e dai Lucani.
Nel 389 a.C. Velia fece parte della lega italiota, soccorrendo Caulonia, attaccata da Dionisio I, il tiranno di Siracusa, ed in seguito fu alleata di Roma durante la I e la II guerra punica (210 a.C.). Nell’ 88 a.C. Cicerone, che vi soggiornò presso il suo amico Trebazio, ci informa che provenivano da Neapolis e da Velia le sacerdotesse che a Roma praticavano il culto di Cerere. Non poco fascino dovette esercitare la raffinata cultura greca sui Romani: infatti nonostante la forte presenza della cultura romana, Velia conservò sempre i suoi caratteri di grecità, sia nelle tradizioni che nel linguaggio (“Graecia capta ferum victorem cepit” diveva in celebre verso il poeta Orazio). Ma come per altre città di quel tempo, su Velia calò lentamente il sipario; dalla bassa età imperiale in poi la città andò via via riducendosi: molti quartieri furono abbandonati; la struttura urbana fu ignorata dall’abitato bizantino, il quale sorse già su uno strato di rovine; gli edifici antichi e le mura furono spoliati dei materiali e reimpiegati in costruzioni sommarie; le statue di marmo sgretolate e trasformate in calcina. Nonostante ciò Velia rimase il centro più importante del Tirreno a Sud di Salerno, e come Paestum fu sede di diocesi (V sec. d.C.).
Al tempo delle invasioni barbariche fu interessata da incursione gote e poi vandale e fu occupata dai Bizantini e poi dai Longobardi. Tra il IX e il X secolo, ai margini estremi del promontorio dell’antica Acropoli di Velia, sorse un castello che dominava tutto il territorio e controllava l’antico porto di San Matteo ad duo flumina, allora ancora efficiente. Attorno al castello, che costituiva una valida fortificazione di quella parte del Cilento, si sviluppò un borgo fortificato con la chiesa di S. Quirino, il cui declino coincise con l’avvento della dominazione normanna e sveva. In età angiona fu eretta la torre a pianta circolare con tre ambienti sovrapposti, il cui maschio inglobò lo stereobate dell’antico tempio greco; in età aragonese la torre venne integrata da una cortina merlata alla base. Tale edificio, giunto fino ai giorni nostri pressocchè intatto, costituisce un bell’esempio di architettura militare del XIII secolo. Intorno alla torre sopravviveva ancora il borgo abitato di Castellamare, finchè nel 1458 Ferdinando I diede ordine di abbandonare quel luogo, troppo esposto alle incursioni dei corsari, di conseguenza nel Cinquecento col censimento generale del Regno, si contavano un centinaio di fuochi. Si accentuò così quel processo di graduale abbandono dovuto probabilmente, oltre che alla minaccia dei pirati, anche all’ambiente malsano delle paludi che circondavano il promontorio, tanto che nel 1648 i registri delle tasse menzionavano dodici fuochi, mentre nel 1669 la località risulta deserta.
Articolo a cura dell’Arch. Gianluca Astore
Notizie tratte da:
Velia Studi e ricerche di Greco G. e Krinzinger F., Modena 1994
Il Parco Archeologico di Velia di Astore G. e Chirico L., in Quaderni di Laurea 2, Electa, Napoli 1995